Prendersi cura delle proprie case, per ritornare a benessere e armonia.

Con l’intento di usare questo sito per divulgare anche aspetti più generici, legati al mondo dell’architettura oltreché della bioedilizia, vorremmo proporre una riflessione che auspichiamo contribuisca a colmare quel “gap” culturale che esiste tra la professione di Architetto e l’opinione pubblica, o meglio, fra la qualità architettonica e la capacità di percepirla da parte dei cittadini.

Non è un mistero che ormai, in quanto cittadini, ci siamo abituati al brutto in architettura, senza tirare in ballo le bistrattate periferie è anche accanto ad ogni piccolo borgo storico che possiamo vedere edifici progettati senza alcun criterio architettonico, con poca attenzione compositiva, senza eleganza, estrema standardizzazione e omologazione stilistica, per non parlare di aspetti più tecnici quali la totale assenza di valutazioni bioclimatiche o di relazione con il contesto.


I nostri borghi e le nostre città hanno perso armonia e colore diventando dormitori protetti da inferriate di ferro ed allarmi, spazi verdi irrisolti e urbanizzazioni disorganiche hanno condizionato negativamente i nostri stessi comportamenti e minato la nostra felicità.
Vivere in contesti brutti o disarmonici si rispecchia in una bruttezza (ci venga concesso il termine) sociale, perché non esiste una reale separazione fra individuo ed ambiente, fra dentro e fuori.
Pensiamo sia sotto gli occhi almeno del cittadino più attento l’evidenza che, oltre agli aspetti stilistici, ciò che ha rovinato e continua a rovinare il nostro (ex?) bel paese è la mancanza di una pianificazione territoriale che dia concretamente risposte alle esigenze di uno specifico territorio, basata su di un approccio olistico, volto alla crescita culturale, sociale ed economica della società.

Come già accennato nel nostro precedente articolo, da quando l’Architettura ha perso la connessione con le reali esigenze abitative ed i bisogni della società, costruire e pianificare interventi è diventato semplicemente un’attività rispondente alle sole regole che la nostra società apparentemente accetta senza remore: le leggi del mercato, domanda-offerta, costi-guadagni.

La ricerca, l’innovazione, la creatività, la cultura secolare che i nostri centri storici trasudano da ogni pietra, sembrano concetti scomparsi nella memoria; escluso poche eccezioni, nella progettazione di edifici e spazi pubblici (scuole, piazze, palestre, teatri, biblioteche) così come in quelli privati, lo studio del rapporto con il contesto, come l’attenzione verso i materiali, la composizione architettonica e strutturale, sono diventati superflui, apparentemente inutili, valutati forse sfavorevolmente in termini di tempo progettuale e quindi di costi, a favore di una progettazione più spicciola, veloce, meno attenta e per l’appunto anche meno costosa.

Questo agire continuo e noncurante ha portato alla scomparsa di quella sensibilità al bello ed al ben costruito, di cui almeno apparentemente la nostra società è stata portatrice sana per secoli.

Senza voler entrare nella polemica fra le diverse professionalità in gioco, non vi è il minimo dubbio che la cura di un patrimonio paesaggistico e architettonico così importante quale quello del nostro paese – che dovrebbe essere riconosciuto di pubblica utilità – deve essere affidata a figure competenti e responsabili.
La questione è comunque a nostro avviso più culturale che politica, non possiamo nascondere ad esempio che in Italia e soltanto in Italia, anche i concorsi di idee, un mezzo senza dubbio interessante e democratico a disposizione delle amministrazioni e dei privati per stimolare la ricerca e il dibattito in architettura, sono troppo spesso effimeri e illusori esercizi di nullità ai quali, dopo le premiazioni ed i titoli di giornale, non fa seguito la realizzazione delle opere vincitrici.

Come intervenire – ci siamo domandati in qualità di tecnici – per ridurre il divario che esiste fra la qualità architettonica e la capacità di percepirla da parte dei cittadini?

Come invertire questa assuefazione al brutto?

Sinceramente non abbiamo ricette magiche e nessuna pretesa di riuscire a modificare il corso della storia, ma crediamo che solo dal basso, attraverso l’impegno concreto e la professionalità di ognuno di noi, possiamo sensibilizzare e creare dibattito.
Tutti noi sappiamo che se circondati da bellezza e armonia saremo incentivati a comportarci bene, a lavorare con profitto, a studiare, aiutare il prossimo, condividere serenità e gioia.

Vivere in un contesto curato è fonte di benessere psicofisico ed economico. Perché non aspirare al nostro benessere?

Da dove ri-iniziare?

Partiamo dalle nostre case e dal prenderci cura di esse; per chi ne ha la possibilità, ristrutturarle con attenzione o costruirle bene, usando materiali naturali e quindi sostenibili, diminuendo lo spreco energetico, ricordando implicitamente che ogni progetto ha una valenza sociale.

Perché l’architettura è una materia sociale, non un mero esercizio estetico o una semplice operazione economica.