La lezione del passato per un futuro sostenibile

A conforto di quanti intuitivamente sentono il richiamo verso il costruire sano ma, ostacolati da pregiudizi, condizionamenti sociali e culturali, non trovano il coraggio di abbracciare serenamente questo antico ma apparentemente nuovo modo di interpretare l’edilizia, vorremo sottolineare l’importanza dell’uso materiali naturali.

Come già trattato nel precedente articolo, circa il 40% del totale delle emissioni di Co2, il 50% del consumo delle risorse terrestri ed il 25% dei materiali che finisce in discarica sono legati al mondo dell’edilizia. Questi dati ci indicano con chiarezza quanto il processo edilizio convenzionale non sia sostenibile e quanto sia importante l’aspetto legato alla scelta dei materiali costruttivi.

Permetteteci una semplificazione: in un settore complessivamente piuttosto “conservatore”, possiamo affermare che  i materiali che vengono maggiormente usati nell’ edilizia convenzionale sono il cemento ed i laterizi per le strutture portanti e di tamponamento, il polistirene espanso e le lane minerali per l’isolamento termico, oltre ad una grandissima varietà di prodotti chimici quali additivi cementizi, colle, vernici, adesivi, sigillanti, smalti, pigmenti inorganici, materie plastiche, membrane bituminose,  ecc. 

Giusto per avere un termine di paragone dimensionale, basti pensare che nel 2016 la produzione mondiale di cemento è stata di 4,5 miliardi di tonnellate, ossia circa 600 kg pro capite, In Italia invece si producono circa 20 milioni di tonnellate di cemento*,  7,5 milioni di tonnellate di laterizi** e 67.000 tonnellate di EPS*** (Polistirene espanso) che copre circa il 50% del mercato  dell’isolamento degli edifici, un altro 30% circa è coperto dalle lane minerali (lana di vetro, lana di roccia) di cui non si conoscono dati quantitativi certi.
Questi materiali, oltre ad avere a volte ingredienti tossici al loro interno, hanno generalmente un processo produttivo molto energivoro e una difficile possibilità di smaltimento o riciclo.

Pensare ecologico significa valutare la riduzione dell’impatto ambientale in una logica di intero ciclo di vita dei prodotti, tenendo quindi in considerazione le fasi di: estrazione e origine delle materie prime, produzione, distribuzione, trasporto, messa in opera, utilizzo e smaltimento. Inquadrati in un sistema economico incentrato sul petrolio quale motore energetico, è divenuto spontaneo – e continua ad esserlo – bruciare combustibili fossili per soddisfare tutte le nostre crescenti necessità.
Oltre ad un livello d’inquinamento globale allarmante, produrre beni attraverso l’uso dei derivati del petrolio, tutto sommato con una certa facilità standardizzata, ha alimentato una  divergenza fra le nostre capacità creative, di adattamento, e la natura stessa.

Cerchiamo di spiegarci meglio: un po’ come usare la calcolatrice ci ha reso meno pronti al calcolo mentale, o come usare il navigatore sta portandoci via il senso intuitivo dell’orientamento, allo stesso modo  la vasta gamma tipologica coperta dai prodotti derivati dal petrolio, e le ottime proprietà meccaniche del cemento, ci hanno impoveriti dal punto di vista della nostra creatività.
Paradossalmente, le nostre capacità, soprattutto in campo edilizio, erano maggiori prima della rivoluzione industriale, piuttosto che adesso.

Saremmo ad esempio in grado oggi di mantenere per lungo tempo il ghiaccio nel deserto come erano soliti fare i Persiani, già a partire dal IV sec. a.C. grazie all’uso di sistemi di raffrescamento passivo?

Il genere umano è sempre stato storicamente capace di adattarsi creativamente alle diverse circostanze ambientali, climatiche e sociali.

È guardando da questa prospettiva che riteniamo che un auspicabile futuro dell’edilizia non debba per forza andare verso un maggiore sviluppo tecnologico dei materiali sintetici, o un’impiantistica sempre più ingombrante e predominante, ma verso una riscoperta di quelle tecniche e quei saperi che hanno accompagnato la nostra evoluzione.
Tornare a costruire edifici con materiali naturali e rinnovabili non è una moda, un trend per alternativi o una tecnica estrema, è ormai un’alternativa concreta, sperimentata e certificabile, l’unica che potrebbe farci tornare a costruire in modo sostenibile, in armonia con il pianeta e nel rispetto della salute.      

Quanto guadagneremmo tutti noi se almeno una percentuale di quei 2 milioni di tonnellate di cemento, dei 7,5 milioni di tonnellate di laterizi, e delle 69.000 tonnellate di polistirene, fossero sostituite da legno, paglia, canapa, terra cruda, argilla o calce?

Non si tratta di fare un passo indietro, si tratta invece di ri-cercare quella intelligenza progettuale e manuale che ci è appartenuta e ci appartiene e, con questo approccio creativo, proporre un’architettura contemporanea e coraggiosa che si caratterizzi per la sua eco-sostenibilità, il suo confort, le sue salubrità e sicurezza, oltreché per le sue caratteristiche stilistiche.
Noi tecnici in particolare, siamo chiamati ad una presa di consapevolezza nei confronti delle nostre azioni. Costruire o ristrutturare ha implicazioni sociali importanti, non può essere declassato a prodotto o attività di consumo, a semplice business, o esercizio di stile. 

L’edificio è qualcosa di sacro, ci protegge e ci dà riparo, ha a che fare con la trasformazione dell’ambiente, con i nostri bisogni primordiali e con la tutela della nostra salute.

L’uomo per più di 10.000 anni, in modo sempre più evoluto, è stato capace di garantire tutte queste prerogative “semplicemente” grazie all’ uso di materiali naturali, i quali, nel giro di pochi decenni, sono stato quasi completamente sostituiti da prodotti artificiali.

Ecco, in estrema sintesi, perché tornare alla cosiddetta “bioedilizia” non rappresenta un esperimento innovativo ma, al contrario, rispetto delle tradizioni costruttive millenarie.

Fonti

*              dati pubblicati da AITEC (Associazione Italiana Tecnica Economica Cemento) – RELAZIONE ANNUALE 2015

**            dati pubblicati da ANDIL (Associazione Nazionale Degli Industriali dei Laterizi) – Osservatorio Laterizi

***           dati pubblicati da AIPE (Associazione Italiana Polistirene Espanso)